L’aggressione della Russia all’Ucraina ha nuovamente mostrato tutte le contraddizioni e le incompiutezze della costruzione europea. L’assenza di una politica estera e di una difesa comuni, per citare quelle più evidenti, non dipendono solo dal fatto che non siano previste dai trattati ma piuttosto dalla eterogenea analisi delle cause e delle possibili soluzioni che ogni paese europeo formula badando esclusivamente ai propri interessi nazionali (e talvolta ai propri interessi elettorali). Nessuno impedisce a un gruppo di paesi di affrontare un problema come se fossero una comunità politica coesa, o un unico stato, anche se non previsto dai trattati, i quali troppo spesso sono usati come foglia di fico per giustificare l’inazione o il procedere ognuno per sé prescindendo dagli esiti che un tale approccio può comportare. Il confronto con gli Stati Uniti, che potrebbe aver rappresentato il punto di arrivo ideale di alcuni Europeisti, spesso non tiene conto del fatto che le idee politiche europee, che hanno trasformato il continente in un sanguinoso campo di battaglia nei due secoli fino al 1945, sono ancora vive e agiscono con molta forza negli equilibri politici e nei rapporti tra gli stati e dentro gli stati.

Sarebbe fin troppo facile fare dei parallelismi tra la situazione dell’europa del 1900 e quella odierna. Mutatis mutandis, le differenze sono rimaste molto simili, benché si siano spostate su piani diversi da quello strettamente militare o territoriale, o più generalmente della forza.

La contesa tra Germania e Francia per l’egemonia europea, il ruolo dell’Inghilterra da sempre indipendente e parca di fiducia nei confronti dei propri vicini, l’Italia ultima tra i primi e i paesi dell’est ancora privi di una identità europea consolidata si ripropongono ancora oggi nelle relazioni economiche e politiche all’interno dell’Unione. 

Forse all’Unione Europea manca un’idea-forza, un obiettivo politico capace di consolidare intorno a una nuova leadership e a un progetto di costruzione europea, non il semplice consenso, ma la consapevolezza che quella direzione debba essere perseguita nell’ambito delle relazioni internazionali e all’interno del nuovo ordine mondiale. Questa idea-forza e la leadership capace di veicolarla però si scontrerebbero (o si scontrano) con le “famiglie politiche” europee che non sono a priori contrarie alla costruzione europea ideale (politica comune, difesa comune, governo comune) ma vorrebbero perseguirla verso forme politiche e sociali peculiari, o egemoniche e che talvolta possono esprimere un deficit democratico. In questo senso possiamo rilevare come per esempio la Germania ancora oggi tenti di costruire un’Europa in cui esercitare un ruolo egemone, l’Inghilterra (nonostante i mal di pancia della Brexit) guardi con fiducia solo agli Stati Uniti e non ai paesi europei e l’Italia sia guidata da un opportunismo ingenuo orientato dai possibili benefici immediati dall’Europa.

L’attenzione alle dinamiche europee avviene solamente in funzione della componente ideologica o elettoralistica delle vicende che vedono l’Europa coinvolta, ma non in funzione di ciò che l’Europa può realmente rappresentare. In Italia questo è particolarmente evidente, per cui il parlamento europeo richiama non le migliori capacità politiche e il più forte sforzo elettorale, ma rappresenta una sorta di camera di compensazione di ruoli e carriere politiche nazionali. 

La commissione europea che è il vero centro decisionale è infatti quasi completamente sganciato dal controllo democratico è, per sua natura, non sfiduciabile e completamente controllata dalla “burocrazia” europea e dai gruppi di potere nazionali, con esiti che dipendono dalle capacità di trattativa degli stessi stati o gruppi di potere. Le conseguenze sono abbastanza evidenti: paralisi dell’Europa nella capacità di affrontare i problemi comuni e bersaglio di interessi esterni. Manca quindi una traduzione (ma anche una nuova elaborazione politica) in termini di progetto europeo delle identità politiche sulle quali sviluppare un confronto capace di superare l’impasse.