L’isola che non c’è, in narrativa, è il simbolo per eccellenza dell’utopia, di un luogo straordinario dove accadono cose straordinarie, ma che non esiste nella realtà. E in questo particolare periodo storico è una metafora che appare più che calzante per l’Unione Europea, sognata e immaginata dai padri fondatori; ma di quel sogno originario cosa è stato realmente attuato? Possiamo dire oggi che l’Europa “libera e unita” esista per davvero?

Nel progetto dei fondatori, espresso nel “manifesto di Ventotene”, (scritto in pieno periodo di guerra) la costruzione di un’Europa libera e unita fu considerata una necessità, il presupposto perché non si verificassero più conflitti tra stati nazionali europei, come quelli che avevano segnato la storia del vecchio continente. Spinelli e Rossi, nel loro manifesto, parlavano chiaramente di “un saldo stato federale”, che disponesse di una “forza armata europea”, “senza autarchie economiche”, e che avesse un’organizzazione tale da far rispettare agli stati federali le deliberazioni sull’ordine comune, lasciando al contempo agli stati la propria autonomia, che consentisse “lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”.

 Da lì in poi è iniziato quel percorso di cooperazione e di tentativo di costruzione di un soggetto politico unico, che oggi conosciamo come Unione europea, un soggetto che, secondo i trattati istitutivi, dovrebbe trovare i suoi valori fondanti nella libertà, democrazia e uguaglianza, rispetto della dignità umana, dei diritti umani e dello Stato di diritto, nella solidarietà e protezione per tutti. Ma del modello di Europa unita proposto dai fondatori che ne è stato? I valori fondanti non bastano per creare uno stato europeo, in assenza di un assetto istituzionale definito in funzione di obiettivi condivisi e di politiche comuni: l’Europa si è data una moneta unica ma non una difesa europea, né tantomeno una politica estera comunitaria, e nemmeno un governo europeo capace di decidere autonomamente rispetto agli stati membri, sostenuto sulla base di una rappresentanza democratica dei cittadini europei.

In molti affermano che l’Unione Europea abbia svolto per un certo periodo la funzione di mantenere stabilità e assenza di conflitti armati tra stati membri, e su questa affermazione forse ci siamo cullati un po’ tutti, senza porci il problema di strutturare questa Unione come sistema politico, culturale e sociale; non ci si è posti il problema di traghettare il “vecchio continente” nella nuova Europa.

L’Unione Europea di oggi non è giuridicamente una federazione, e neppure una confederazione, per quanto ne abbia alcune caratteristiche, ma un’organizzazione internazionale che si è modificata nel tempo sulla base dell’approccio della risoluzione delle emergenze, del trovare soluzioni contingenti alle crisi comuni, nella convinzione di alcuni che questo avrebbe portato ad una vera e propria entità politica riconosciuta e legittimata democraticamente. E se nel tempo ci sono stati delle circostanze che hanno portato a risposte comuni ed efficaci, per quanto molto dibattute e talvolta sofferte (quali il PNRR in periodo di Covid), non si sono fatti passi avanti per uscire dalla logica dell’intervento in emergenza. Il vincolo dell’unanimità unitamente all’opzione del diritto di veto di fatto bloccano le iniziative che promuovono una convergenza strategica laddove le posizioni dei singoli stati non siano strettamente compatibili.

Anche per questo motivo sul fronte degli obiettivi dell’Unione Europea (crescita economica equilibrata, coesione economica e sociale, solidarietà tra stati) il percorso è ancora lungo e accidentato. L’Unione, piuttosto che riflettere e decidere su cosa voglia essere, si è affermata come un’organizzazione molto concentrata su aspetti formali e burocratici, su problemi di carattere particolare, privilegiando così l’immediatezza del presente ma trascurando il quadro generale, compromettendo la stessa competitività europea. Tutto ciò nella convinzione, probabilmente, che un rigido impianto formale e vincolistico possa sopperire ad uno sforzo più ampio degli stati membri di portare avanti politiche comuni, di affermarsi come un interlocutore politico unico, solido e riconoscibile, credibile e affidabile anche agli occhi del resto del mondo.

In questo momento di grande crisi, dovuto anche alla guerra che dopo decenni è tornata nel cuore dell’Europa, le divisioni nazionaliste mettono in grave affanno l’Unione Europea, tanto da indebolire le condizioni per la sua stessa sopravvivenza. Può sorgere il dubbio che l’Unione Europea sia stata concepita per essere utilizzata dagli stati membri per servire i propri interessi nazionali; un retaggio più o meno consapevole di una vecchia Europa che non riesce ad abbandonare il proprio passato per proiettarsi verso un futuro fondato su nuovi confini politici, economici e sociali. In questo modo, al contrario, emergono tutte le incongruenze e le differenze ancora esistenti tra aspirazioni e prospettive politiche dei singoli stati membri, che appaiono quasi insuperabili dato l’assetto esistente.

L’unità dell’Europa era una necessità che i padri fondatori avevano formulato alla luce degli eventi traumatici determinati dai conflitti tutti interni all’Europa, e ancora a questo ci ispiriamo con uno sguardo rivolto al passato. Intanto però, in questi decenni, il mondo intorno a noi è cambiato radicalmente, diventando forse ancora più turbolento rispetto al periodo del manifesto di Ventotene: gli equilibri sono stati modificati dalla globalizzazione e dall’ingresso nello scenario internazionale di nuovi attori, in primis la Cina, e di nuove aree di influenza che hanno fatto perdere la centralità dell’Europa. Proprio per questo il progetto di un’Europa forte, unita e coesa è oggi più che mai una necessità, un’esigenza imprescindibile per non soccombere di fronte alle nuove sfide del presente. Per farlo occorre che sia profondamente ripensata, ma non abbiamo di fronte a noi un orizzonte temporale infinito. Se non lo facciamo nel minor tempo possibile, il rischio è quello di risvegliarci dal sogno utopico dell’isola che non c’è e ritrovarci di fronte alla realtà distopica di un’Europa che potrebbe non esserci mai più.