La cultura occidentale esprime valori, ereditati dal pensiero greco-romano, dalla tradizione giudaico-cristiana, dalla ragione illuministica e dalla rivoluzione scientifica, che nel tempo e con le diverse vicende storiche si sono diffusi e consolidati. Parliamo di diritti fondamentali dell’uomo quali libertà, eguaglianza, rispetto dei diritti umani, democrazia, pace, inclusione e tolleranza. Non è stato un processo facile acquisirli, il loro conseguimento è passato attraverso conflitti e contraddizioni, e ancora oggi costituiscono la base del diritto e in generale del vivere civile dell’Occidente.

Sempre più spesso, nelle cronache, veniamo a conoscenza di eventi che inevitabilmente ci portano a riflettere su come l’intero Occidente, con i suoi valori, sia oggi minacciato e sotto attacco da parte di Paesi e regimi dittatoriali, autocratici e teocratici. La guerra della Russia all’Ucraina, l’attacco di Hamas a Israele così come gli atti terroristici islamici nel cuore dell’Europa sono esempi diretti di minaccia all’Occidente e ai suoi valori.

Non solo minacce armate, ma anche rischi derivanti dalle dipendenze economiche (ad esempio di natura energetica, farmaceutica, tecnologica e alimentare) che talvolta sono sfociate in episodi di natura corruttiva. La scarsità delle risorse e la loro dislocazione non omogenea fa sì che i paesi occidentali, che ne sono privi, possano dover derogare nelle relazioni internazionali ad alcuni dei loro principi democratici . Sembra che la società occidentale, forte dei propri traguardi raggiunti nei secoli, non abbia più gli anticorpi per riconoscere le minacce che la potrebbero indebolire. A distanza di oltre mille anni dalla decadenza dell’Impero Romano, stiamo assistendo apatici e indifferenti ancora una volta a una potenziale involuzione economica e sociale, prestando il fianco alle mire espansionistiche orientali senza una forte capacità di reazione opponendo i nostri valori e la nostra cultura. Ma siamo realmente consapevoli dei nostri valori e della nostra cultura? “L’apatia genera inerzia. L’inerzia genera indifferenza, ed oltre a impedire il giudizio morale l’indifferenza soffoca l’istinto di autodifesa cioè l’istinto che induce a battersi[1].

Il problema della nostra identità culturale, del diverso che può diventare minaccia e di un possibile scontro di civiltà era stato già teorizzato dal politologo Samuel Phillips Huntington, in alternativa al pensiero di Fukuyama, che vedeva nella fine della guerra fredda la fine della storia: “But large scale conflict must involve large states still caught in the grip of history, and they are what appear to be passing from the scene. The struggle for recognition, the willingness to risk one’s life for a purely abstract goal, the worldwide ideological struggle called forth daring, courage, imagination, and idealism, will replaced by economic calculation, the endless solving of technical problems, enviromental concerns, and the satisfaction of sophisticated consumer demands[2].

L’Occidente ha voluto illudersi che lo scenario di Fukuyama fosse quello reale. Ha così ignorato lo spirito di rivalsa dei popoli non occidentali come reazione alla globalizzazione e alle differenze politiche e socio-economiche nel contesto mondiale. Ma niente può o dovrebbe giustificare la sfida nei confronti dei nostri valori e della nostra identità culturale, men che meno un malinteso principio di tolleranza.

Quanto ancora possiamo resistere all’ingerenza da parte di regimi non democratici, e al rischio della perdita della nostra identità valoriale e culturale? Le società occidentali si sono mostrate nel corso del tempo accoglienti, accettando incondizionatamente tutti i flussi migratori e mostrandosi tolleranti e accondiscendenti verso le culture diverse, anche quelle incompatibili con la nostra.

Questa accoglienza ingenua, legata a un’idea superficiale e distorta di integrazione, porta a ospitare anche chi nutre odio e rivalsa nei confronti dell’Occidente: ci si porta il nemico in casa? L’Occidente è vissuto nell’illusione di poter esportare la democrazia e di integrare le altre culture nella propria, un’aspettativa che però è stata messa in discussione dagli attuali conflitti a livello internazionale, che stanno minando al cuore la civiltà occidentale. A questo punto come si può ancora applicare il principio di tolleranza nei confronti di un diverso se si manifesta come una minaccia? Perché tollerare senza riserve, ad esempio, individui di fede islamica, che ci indicano esplicitamente come “infedeli”, in quanto la loro cultura e stile di vita sono incompatibili con i nostri valori? La tolleranza però non può tollerare la sua negazione, ovvero l’intolleranza.

Integrazione e multiculturalismo sono parole nobili, così come l’accoglienza, però nell’opinione pubblica sono state abusate nei salotti di certa cultura buonista, ma non si è prestata sufficiente attenzione alle considerazioni degli studiosi anche in merito alle difficoltà della loro attuazione. Ha prevalso una sorta di pacifismo multiculturalista che ha imposto l’accettazione senza se senza ma del “diverso”, un modo per far accettare culture distanti se non antitetiche alla nostra, facendosi scudo addirittura con certa pietas cristiana. Non tutti però sembrano comprendere la complessità dell’attuazione dell’integrazione, e l’impatto sociale dell’accoglienza a tutti i costi, che non è affare di pochi giorni o settimane, si tratta al contrario di un processo lungo che deve ammettere tolleranza e soprattutto accettazione della cultura di destinazione da parte dell’accolto. Cosa che difficilmente avviene.

È bene dirlo a chiare lettere, solo una esigua minoranza è stata capace finora di integrarsi nei costumi e usi occidentali, una sparuta quota di persone che hanno accettato i nostri valori, i nostri principi civili, che hanno rispettato le nostre leggi, pur mantenendo il loro credo religioso e le proprie tradizioni. Invece si diffonde l’idea che la minaccia alla nostra società sia ridicola, che il “potenziale terrorista” rappresenti solo una minoranza che vive in Paesi lontani. In realtà non è così, in Europa vivono la nostra quotidianità, vestono anche all’occidentale, condividono le nostre passioni sportive, hanno famiglia e proliferano, tramandando i loro valori religiosi e culturali. Dissimulano il loro sprezzo per i nostri costumi che considerano disinvolti, mentre aspettano pazientemente di poter cambiare i nostri valori, modificare i nostri principi e le nostre tradizioni.

C’è chi ignora il fenomeno e addirittura nega questa evidenza, senza considerare che altre culture diverse dalla nostra non concepiscono il principio di relativismo culturale e la secolarizzazione della religione, però basta farsi un giro per le periferie delle nostre città, ovvero anche nei quartieri più centrali, per ricredersi: il velo copre le donne, un’offesa per tutte le sofferte conquiste di genere fatte negli ultimi decenni, e un vulnus al nostro stato di diritto. Le cronache dei giornali metropolitani e di provincia raccontano di prepotenze, di pretese irrispettose nei confronti dei nostri valori: togliere il crocefisso dalle aule e il presepio natalizio, bandire il maiale dalle mense scolastiche. Richieste da non sottovalutare, che sono sintomo della volontà di imporre dei limiti alla nostra cultura, alle nostre tradizioni, alla nostra civiltà.  

E purtroppo chi paventa timori del genere o esprime giudizi viene ostracizzato: chi fa appello alla ragione e alla fede come Papa Ratzinger nel celebre discorso di Ratisbona. Il monito è passato sottaciuto, addirittura ha suscitato un vespaio di polemiche ideologiche nel mondo accademico italiano, un mondo che si ritiene laico e tollerante per la libertà di espressione e invece ha mostrato di non esserlo affatto.  Papa Benedetto XVI si era espresso nettamente contro ogni forma di imposizione violenta di un credo religioso: “La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima. Dio non si compiace del sangue. La fede è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia[3].

L’Occidente però è minacciato al suo interno da fenomeni culturali quali la Cancel Culture, la Woke, il Complottismo e posizioni ambigue, da un’avversione per gli interrogativi fondamentali della ragione, con crescente giustificazione degli estremismi ideologici; fenomeni che indeboliscono la cultura e quindi la resilienza sociale.

Che fare dunque? La stessa domanda se la pone Huntington, “Can the West renew itself or will sustained internal rot simply accelerate its end and/or subordination to other economically and demographically more dynamic civilizations?[4]. L’Occidente ha davanti a sé una sfida fondamentale per il suo futuro. Va bene aprirsi al confronto e al dialogo con altre culture, va bene perseguire gli scambi commerciali in un contesto di globalizzazione per diffondere il concetto di democrazia e limitare i conflitti. Urge, però, una riaffermazione della nostra identità occidentale ed europea, una riappropriazione dei nostri valori culturali, etici e dei nostri principi del vivere civile. Sminuire queste nostre conquiste non può essere una condizione che sistemi socioculturali, desiderosi di contrapporsi a un presunto unipolarismo occidentale, possono imporci per stare al tavolo del multilateralismo (ONU), cancellando così millenni di progresso sociale dell’Occidente. È bene maturare questa consapevolezza quanto prima, per evitare la dissoluzione del sistema sociale e dei valori che con tanta fatica e sacrificio abbiamo costruito per il vivere democratico; non il migliore dei mondi possibili ma finora non siamo stati in grado di costruirne di migliori.


[1] Oriana Fallaci, Le radici dell’odio. La mia verità sull’Islam, 2017, p. 455.

[2] “I conflitti su larga scala devono coinvolgere i grandi Stati ancora intrappolati nella morsa della storia, e sono proprio questi che sembrano uscire di scena. La lotta per il riconoscimento, la disponibilità a rischiare la vita per uno scopo puramente astratto, la lotta ideologica mondiale che ha suscitato audacia, coraggio, immaginazione e idealismo, saranno sostituite dal calcolo economico, dall’incessante rincorsa alla risoluzione di problemi tecnici e delle preoccupazioni ambientali, quindi dalla soddisfazione dei bisogni sempre più evoluti dei consumatori”, Francis Fukuyama, The end of History? 1989, p. 17.

[3] Papa Ratzinger, Lectio Magistralis Aula Magna dell’Università di Ratisbona, 2006.

[4] “L’Occidente saprà rinnovarsi? Oppure un continuo sovvertimento interno finirà semplicemente per accelerare la propria fine e/o la propria subordinazione ad altre civiltà economicamente e demograficamente più dinamiche?” in Samuel P. Huntington, The clash of civilizations and the remaking of world order, 1996, p. 303.