Nei nostri spunti di discussione prendiamo in considerazione aspetti della realtà sociale che ci sembrano rappresentativi dei tempi che viviamo, e cerchiamo in qualche modo di analizzarli in termini non eccessivamente emotivi (non è semplice e non sempre riusciamo, ma comunque continuiamo a sforzarci). Quando pensiamo alla nostra realtà sociale ci riferiamo alla rappresentazione che ce ne danno i quotidiani, i talk e, qualche volta, i social. Questa volta partiamo dalla visione del video “Nobel Minds 2022” (di cui suggeriamo vivamente la visione). L’effetto è straniante. Possiamo davvero considerare questa tavola rotonda come parte della nostra realtà sociale? Cosa hanno a che fare questi studiosi e scienziati con i professionisti dell’informazione, gli opinionisti, gli intellettuali che si frappongono quotidianamente fra noi e la nostra percezione della realtà sociale?

Viviamo la nostra quotidianità riempiendo le nostre giornate di routine più o meno frenetiche che lasciano poco spazio all’elaborazione del contesto sociale nel quale ci muoviamo. Siamo immersi nei problemi del contingente, vincolati dalle relazioni sociali di prossimità. Il nostro distratto sguardo sul mondo (quando esiste) si rivolge alle rappresentazioni conflittuali di posizioni differenti, delle quali si accentuano le divergenze, alimentando forme di polarizzazione che impediscono qualsiasi possibilità di dialogo e restituiscono un sentimento di diffidenza e sfiducia. La nostra modalità di adattamento è il conformismo. La nostra strategia di sopravvivenza nell’ambiente sociale spesso prevede la gestione, attiva o passiva, di forme di sopruso e di prevaricazione. La nostra visione del futuro è ammantata di rassegnato cinismo che sopprime qualsiasi aspirazione, sia pure modesta, a determinare un qualche cambiamento, fosse anche solo nelle nostre situazioni individuali.

Forse persuasi dal potere consolatorio del motto “mal comune, mezzo gaudio” riteniamo che questa situazione accomuni tutti gli esseri umani, o perlomeno quelli che popolano il nostro stesso contesto sociale. Ci rifiutiamo di contemplare anche solo l’idea che si possa vivere (sopravvivere) diversamente in questa nostra società. Invece è possibile: esistono individui che pur abitando il nostro stesso contesto sociale gestiscono la propria esistenza, o almeno una parte significativa della stessa, in modo differente.

La visione del video “Nobel Minds 2022” ci offre uno scorcio di questa realtà, troppo spesso ignorata se non addirittura negata o contrastata. Guardiamo ciò che avviene in questi 50 minuti scarsi di confronto con scienziati di diverse discipline, sulla base dei sentimenti di sfiducia e diffidenza che appesantiscono la nostra quotidianità. Se utilizziamo gli standard del conformismo, della prevaricazione, del cinismo che adottiamo normalmente (ritenendo che queste siano le modalità più adeguate per ottenere qualche gratificazione nell’arco delle proprie esistenze), la sensazione è che intorno a quel tavolo siedano, con poche eccezioni, dei disadattati o, in alternativa, dei marziani. Perché? Semplicemente perché dai loro comportamenti non emerge alcuna forma di assoggettamento ai vincoli della quotidianità, non si intravvedono tendenze alla prevaricazione, né forme di rassegnato adattamento passivo; emergono, al contrario, fiducia, curiosità, umiltà e una innocenza non ingenua. Pur abitando nel nostro stesso mondo e nel nostro stesso tempo, lo vivono da una prospettiva diversa rispetto a quella adottata dalla maggioranza degli esseri umani.

L’apparente semplicità del loro modo di porsi non ci consente di capire appieno la complessità e la portata delle loro ricerche, né l’impegno e lo sforz0 profusi per conseguire traguardi conoscitivi importanti. E’ però in grado di rivelarci la tendenziale assenza di barriere conoscitive, la propensione a non dare nulla per scontato, la capacità di osare, sfidando le posizioni consolidate e i luoghi comuni (“le nuove idee sembrano sempre stupide”) per addentrarsi in territori disseminati di sempre nuovi problemi da affrontare con una tenacia di pensiero quasi “ossessiva” (preferibilmente da condividere in uno “sforzo di gruppo”, perché le “idee stupide” necessitano anche di un ambiente sociale in cui possono essere presentate senza “paura”). Sono queste le condizioni che rendono possibili i progressi della conoscenza e, in particolare della ricerca di base, quella forma di attività conoscitiva mossa da una forma di “curiosità” pura, il cui unico obiettivo è acquisire nuova conoscenza; senza ricerca di base, però, non sarebbe possibile innovazione tecnologica e, con essa, la possibilità di migliorare le nostre condizioni di vita.

Certo, a quel tavolo c’è un’assenza che non possiamo ignorare, e non si tratta soltanto delle donne, come viene fatto rilevare dai presenti con una particolare nota di demerito nei confronti del campo economico. Ancora non è stato fatto posto alla scienza del comportamento, la più giovane e forse la più difficile delle discipline; ma sappiamo che esiste una comunità di studiosi che conduce esperimenti sull’apprendimento, sul comportamento di scelta, sulle relazioni fra gli organismi viventi e l’ambiente che li circonda. Arriverà il tempo in cui anche questa scienza starà a quel tavolo e noi saremo pronti a festeggiare questo lieto evento.

Ma già oggi questo tavolo ci dimostra due cose: (1) che non esiste un unico modo di adattarsi al nostro contesto sociale (con buona pace dei cinici che bollano qualsiasi tentativo di contrapporsi alle situazioni consolidate come una esecrabile manifestazione di imprudente ingenuità); (2) che il modo alternativo di adattamento non solo esiste, ma è anche quello che alimenta la capacità dell’essere umano di elaborare in termini conoscitivi il mondo che lo circonda e di determinare il progresso delle nostre società. Sarebbe sufficiente che la maggioranza adulta che adotta la prima modalità di adattamento ricordasse sempre, e con rispetto, che esiste anche una minoranza che adotta la seconda modalità di (super)adattamento per far breccia nella cappa di diffidenza, sfiducia e cinismo che soffocano la nostra società. Perché un altro mondo già esiste; e se a questa affermazione aggiungiamo un po’ di entusiasmo, che è pur sempre una forma di trasporto emotivo, forse possiamo essere perdonati.