Perché sembra così difficile, nelle nostre società, riconoscere la fondamentale importanza dell’attività conoscitiva? I progressi dell’umanità sono sostanzialmente tutti riconducibili ad altrettanti avanzamenti della conoscenza. Cosa si può immaginare di più entusiasmante se non lo svelare e il comprendere aspetti del mondo in cui viviamo precedentemente ignorati? È attraverso l’avanzamento della conoscenza e, in particolare, della conoscenza scientifica, che l’umanità è riuscita finora a superare i limiti del presente e a dare forma al futuro. Eppure sembra che il gusto della conoscenza sia poco diffuso nelle nostre società. Disincanto e scetticismo, se non talvolta fastidio e diffidenza, che sono (purtroppo) atteggiamenti diffusi nei confronti della politica e della gestione della cosa pubblica, si rivolgono ormai pericolosamente anche verso l’attività conoscitiva. Il dibattito pubblico sollevato sugli aspetti medico-scientifici connessi alle attuali vicende pandemiche è solo un esempio delle difficoltà di comprendere il senso dell’attività scientifica e della sfiducia nei confronti delle istituzioni che la rappresentano.

L’acquisizione di conoscenze già disponibili, la produzione di nuova conoscenza, l’applicazione delle conoscenze sono spesso attività ostacolate o quantomeno disincentivate.

Per quanto riguarda l’acquisizione (e la trasmissione) di conoscenze, le istituzioni educative e formative sono carenti sul piano dei metodi didattici e dei contenuti. La didattica è ancora basata sulla lezione frontale (con ascolto passivo da parte degli allievi), sullo studio mnemonico assoggettato alla verifica percepita in termini punitivi (interrogazione e voto), sulla standardizzazione dei processi educativi a prescindere dalle specificità dei singoli allievi; i tentativi di “sperimentazione” sono lasciati alla discrezionalità dei singoli docenti o a esperienze estemporanee. Il tentativo di “modernizzare” i programmi didattici si limita sostanzialmente a un maldestro tentativo di inserire le materie informatiche (ma l’esperienza in dad prova la superficialità di questo innesto) o di proporre indirizzi disomogenei e variegati in una logica di marketing dell’offerta formativa non supportata da una rigorosa progettazione educativa. Il risultato paradossale è rappresentato dal fatto che le istituzioni educative e formative, a parte qualche meritoria eccezione, non sviluppano le capacità di apprendimento, mortificano la curiosità e il pensiero critico che sono alla base dell’acquisizione della conoscenza, minando i fondamentali processi di life-long learning (l’apprendimento continuo durante tutto l’arco della vita), con un impatto negativo anche sul successivo eventuale impegno nelle attività volte alla produzione e alla applicazione di nuova conoscenza. La prima fase della nostra vita dovrebbe essere scandita dal gusto dell’apprendimento, dalla quotidiana gratificazione per aver imparato qualcosa di nuovo, dalla soddisfazione per un problema risolto, dalla curiosità per quello che ci verrà insegnato il giorno successivo. Una società che sottrae ai giovani questa esperienza, che non trasmette entusiasmo per la conoscenza, compromette il suo futuro.

Per quanto riguarda la produzione di conoscenze, le istituzioni di ricerca sono spesso costrette a operare in ristrettezza di mezzi e carenza di investimenti di medio e lungo periodo. Conseguentemente si orientano verso attività più vicine agli interessi immediati dei finanziatori e del mercato, piuttosto che all’approfondimento e alla sistematizzazione delle acquisizioni conoscitive nei rispettivi campi di ricerca. Chi decide di dedicarsi all’attività di ricerca lo fa sapendo che, molto probabilmente, otterrà una remunerazione inferiore rispetto al valore delle proprie competenze e nella quasi totale assenza di riconoscimento sociale del proprio ruolo. Eppure è qui che il gusto della conoscenza emerge nella sua forma più pura e sorregge gli sforzi di una comunità di studiosi, ricercatori, scienziati proiettata verso il futuro, animata da una genuina curiosità e una radicata fiducia nel valore della conoscenza; una comunità preparata ad affrontare difficoltà e sfide, consapevole che i propri limiti conoscitivi definiscono solo nuovi traguardi da raggiungere e salda nella convinzione che ogni problema potrà trovare una soluzione, se non verranno meno dedizione, impegno e tensione conoscitiva. Sarebbe interesse di una società che coltiva il gusto del futuro rafforzare e valorizzare questa comunità.

Per quanto riguarda l’applicazione delle conoscenze, qualsiasi organizzazione (pubblica o privata) dovrebbe garantirne la realizzazione in tutti i ruoli lavorativi attraverso il riconoscimento di criteri meritocratici. Al contrario, tale applicazione è lasciata alla discrezionalità individuale e diventa spesso una sfida, se non una battaglia, per il fatto che molte organizzazioni tendono a disincentivare atteggiamenti proattivi, anche quando le proposte riguardano semplicemente modifiche procedurali. In questo modo viene meno il gusto del fare, che si traduce nell’impegno a utilizzare le proprie conoscenze e ad acquisirne di nuove per svolgere al meglio la propria attività lavorativa; al piacere di fare bene subentrano demotivazione e routine. Nella nostra società spesso mancano gli incentivi, non solo (o non tanto) economici quanto sociali, al miglioramento e all’innovazione; lo stesso avanzamento tecnologico viene visto come opportunità solo in casi limitati, mentre molto più frequentemente è vissuto passivamente e, spesso, come minaccia. Come può una società di questo tipo confrontarsi con società dinamiche e produttive? Come può adattarsi alle esigenze di cambiamento?

Ci sarebbe anche un altro aspetto da considerare: quello della condivisione sociale della conoscenza, che dovrebbe esprimersi democraticamente nella definizione di obiettivi collettivi e di politiche adeguate al loro perseguimento. Dovrebbe essere oramai acquisita la consapevolezza che i sistemi democratici (probabilmente non quelli autoritari) funzionerebbero meglio se fosse più elevato il livello culturale degli individui che appartengono a tali sistemi. Non dovrebbe essere difficile convenire sul fatto che potrebbero essere migliorati i processi di rappresentanza e forse si potrebbe anche limitare la presunta divergenza fra ciò che occorre fare e ciò che è popolare fare, lasciando più spazio al gusto di una sana dinamica democratica, in cui il conflitto sia sostituito da un confronto costruttivo, nel rispetto della diversità delle opinioni e del bagaglio di conoscenze e competenze.

Se dovessimo immaginare una società più adatta a rispondere alle criticità che dobbiamo affrontare e di cui si discute pressoché quotidianamente, non dovremmo immaginare una società ad alto tasso di conoscenza? Forse molti riterrebbero più rilevanti, o almeno equivalenti, senso di responsabilità e sistemi valoriali, sostenuti dal controllo sociale e da sistemi punitivi. Perché non immaginare invece un futuro in cui la società faccia affidamento sulla consapevolezza di tutti che deriva dalla conoscenza?