La pandemia di Covid-19 ci ha mostrato quanto sia difficile orientare le nostre esistenze in un clima di forte incertezza. La scarsa conoscenza del comportamento di questo specifico virus, dei suoi meccanismi di trasmissione, della sua reale pericolosità o delle sue varianti, della risposta immunitaria dell’organismo umano e dell’organizzazione sanitaria necessaria per il trattamento dei malati gravi, ha portato a individuare finora quale unica strategia di limitazione dell’epidemia il distanziamento sociale e l’uso di alcuni dispositivi di protezione individuale. Di fronte alla paura di una chiusura definitiva delle attività produttive, della sospensione dei normali rapporti sociali e del rischio per l’incolumità individuale, la necessità di aprire dei varchi nella cappa di incertezza si è resa sempre più urgente.

Di fronte al bisogno, da parte dei cittadini, di ridurre il grado di incertezza, l’operato degli organi di informazione ha veicolato una ridda di dichiarazioni, tanto numerose quanto spesso contraddittorie, da parte di esperti, presunti tali e/o autoproclamati, che di fatto ha aumentato l’incertezza generale.

Sembrerebbe che la nostra società dalla scienza non accetti (o non comprenda) né il dubbio né l’assenza di una soluzione immediata a un problema più o meno complesso, tanto è abituata ai prodotti tecnologici pronti all’uso che derivano dall’avanzamento della conoscenza scientifica, nel nostro caso il vaccino o una valida cura. Inoltre, permane l’idea dello scienziato come una figura che conosce tutto lo scibile umano e pertanto in grado, anche fuori dalla propria disciplina, di poter dare una risposta a qualsiasi problema. Tuttavia la scienza ha raggiunto un grado di specializzazione e una vastità di oggetti di studio tali da rendere estremamente difficile per gli stessi membri della comunità scientifica conoscere altro che la propria disciplina. A complicare la situazione, l’opinione pubblica non è in grado di distinguere ciò che è scientifico – ciò che deve valere per tutti in un dato tempo e a un dato livello di conoscenza – da ciò che è opinione, benché espressa dagli stessi scienziati.

La questione assume un peso importante quando la politica deve scegliere tra le diverse linee di comportamento che si possono adottare, i cui esiti potrebbero anche risultare devastanti in termini di vite umane e di distruzione di risorse economiche.

Di chi fidarsi? Fenomeni di rilevanza internazionale come una pandemia richiedono un approccio internazionale che dovrebbe trovare nella scienza un punto di riferimento a vantaggio di un interesse comune, anche perché in caso contrario gli effetti di scelte potenzialmente più adeguate di uno o più stati potrebbero essere depotenziati dalle scelte inadeguate di altri stati. Le scelte politiche dovrebbero essere formulate tenendo conto anche di ciò che dice la scienza.

Le organizzazioni  nazionali e sovranazionali preposte a questo obiettivo sono state in grado sinora di recepire e organizzare le risposte scientifiche per prendere decisioni migliori?

Il recente caso dell’OMS fatto oggetto di pesanti critiche formulate dagli USA e Taiwan per la gestione politica della pandemia non sembra confortante. Le presunte commistioni a livello italiano sul piano pandemico non aggiornato contribuiscono a gettare un’ulteriore ombra sull’istituzione.

Sul sito del ministero della salute si definisce l’OMS come “l’organismo di indirizzo e coordinamento in materia di salute all’interno del sistema delle Nazioni Unite. Tra le altre funzioni, è impegnata a fornire una guida sulle questioni sanitarie globali, indirizzare la ricerca sanitaria, stabilire norme e standard e formulare scelte di politica sanitaria basate sull’evidenza scientifica; inoltre, garantisce assistenza tecnica agli Stati Membri, monitora e valuta le tendenze in ambito sanitario, finanzia la ricerca medica e fornisce aiuti di emergenza in caso di calamità.”

Secondo i detrattori, l’OMS avrebbe ritardato la dichiarazione di pandemia e si sarebbe preoccupata maggiormente di salvaguardare l’immagine della Cina a scapito della sicurezza globale; avrebbe anche omesso di svolgere indagini epidemiologiche approfondite in situ (cioè nella zona di Wuhan). Inoltre, dinanzi alla positiva gestione dell’emergenza da parte di Taiwan, che ha evitato gli eccessi repressivi visti in altri contesti, l’OMS non ha inserito i suoi rappresentanti nel panel di osservatori, forse in seguito a presunte pressioni della Cina che considera Taiwan una sua provincia. Le critiche sono andate a colpire anche il direttore dell’OMS, riguardo al suo rapporto personale e politico con la Cina per via degli investimenti perseguiti da Pechino in Etiopia. Tedros Adhanom Ghebreyesus non è nuovo alle critiche per alcune decisioni prese in passato durante la sua gestione (la nomina di Mugabe a rappresentante dell’OMS, per esempio).

Sono critiche non certo leggere, e c’è da dire che in passato per altre epidemie, l’OMS è stato fatto bersaglio di critiche di segno opposto, cioè per aver dato l’allarme per una diffusione globale di un virus che poi fortunatamente non c’è stata.

Nel caso invece dell’incidente della centrale nucleare di Chernobyl, che ebbe tra le altre conseguenze quella di generare sfiducia e timori sull’uso dell’energia nucleare a fini civili, l’OMS giunse alla conclusione che le decine, se non centinaia, di migliaia di morti attribuiti dai mass media e dall’immaginario collettivo all’incidente andassero drasticamente ridimensionate a poche decine di unità. Dato peraltro confermato da diversi studi e sostenuto da molti scienziati nucleari.

Dove stia la “verità” e dove la speculazione per queste vicende non è oggetto della nostra riflessione.

Sullo sfondo, la domanda rimane: di chi fidarsi? E rimane indispensabile che a fronte  di problemi globali vi siano risposte e capacità organizzative coordinate adeguate a gestire quel problema, anche in grado di ridurre il senso di incertezza e infondere un senso di fiducia, e non linee di azione influenzate dagli interessi politici di uno stato o di un altro.